Ortoressia: quando l'attenzione al cibo diventa malattia
Sembra proprio che disturbi e patologie connesse all'alimentazione non abbiano fine. In questo 2012 si è fatto un gran parlare di "ortoressia", termine che deriva dalle parole greche "orthos", corretto, e "orexis", che significa per l'appunto appetito.
Come descrive la Repubblica di oggi, il termine fa la sua comparsa per la prima volta negli anni '90 per opera del dietologo americano Steven Bratman che pubblica un articolo sull'argomento che subito suscita scalpore e interesse.
L'interesse per la "purezza del cibo" rimane alta e gli articoli in materia si rincorrono con relativa frequenza: citiamo quello apparso sulla Gazzetta dello Sport lo scorso 13 aprile, nel quale si denunciavano i rischi di un'eccessiva attenzione al cibo.
Marino Niola su Repubblica afferma che "a furia di eliminare alimenti si riduce la dieta a pochissimi nutrienti con grave danno per la salute. Si comincia con la criminalizzazione del burro. Segue a ruota la demonizzazione dello zucchero. Poi arriva la fatwa sul sale. [...] Dopo di che i tabù si moltiplicano in maniera direttamente proporzionale alle nostre paure e insicurezze. Di cui i cibi diventano simbolo, catalizzatore, capro espiatorio".
L'autore ricorda l'importanza di affrontare l'ortoressia come vera e propria patologia, dove il paziente necessita di "un doppio conuseling: nutrizionale e psicologico [...] In comune i soggetti ortoressici hanno la condanna del piacere. E il controllo di sé trasformato in una forma di penitenza laica, mortificazione del corpo".
La Gazzetta dello Sport offre poi due spunti interessanti mettendo in relazione comportamenti alimentari diffusi come l'acquisto biologico e la dieta mediterranea con l'ortoressia. Si cita uno studio americano che sembrerebbe sfatare l'esistenza di una differente qualità nutrizionale tra prodotto biologico e prodotto "convenzionale"; d'altra parte viene accusata la fede indiscussa nella dieta mediterranea come fonte di massima salute, riportando un dato statistico che vede i bambini italiani tra i 5 e i 10 anni in testa alle classifiche europee per obesità.