Il pesce crudo al ristorante va “bonificato”
Consumare pesce crudo al ristorante potrebbe essere pericoloso, soprattutto quello “azzurro”, ma con l’uso corretto dell’abbattitore (portando il fresco a -20°C per 24 ore), si può tranquillamente mangiare il sushi o il carpaccio. Alla base ci devono essere una tracciabilità certa e procedure corrette per effettuare la “bonifica” del prodotto fresco (compresa la comunicazione all’Asl del corretto uso dell’abbattitore e l’indicazione nel menu...).
Sono questi i risultati emersi dal Convegno promosso da “Italia a Tavola” e dal Consorzio cuochi e ristoratori di Lombardia, presieduto da Matteo Scibilia, sul tema del pesce crudo.La prima iniziativa di questo spessore a livello a nazionale, anche solo per la qualità degli esperti che si sono confrontati con gli addetti ai lavori, si è tenuta presso il Capac Politecnico del Commercio di Milano (la più importante struttura di formazione e aggiornamento del settore in Italia) per sensibilizzare i ristoratori sui seri problemi (che vanno da sanzioni economiche a procedimenti penali) legati al tema del pesce crudo, oggi al centro di un vera e propria emergenza per la possibile presenza di parassiti (dall’Anisakis all’Opisthorchis, vedi schede) pericolosi per l’uomo.
Un’attività che richiede peraltro anche una crescita culturale e di consapevolezza da parte del consumatore, verso il quale il ministero della Salute o il Governo dovrebbero indirizzare campagne di informazione ad hoc per segnalare il rischio che si corre col pesce crudo non bonificato, rendendo così efficace ed utile lo sforzo dei ristoratori seri per fronteggiare l’emergenza. Un tema, quello della responsabilità, particolarmente richiamato da Alfredo Zini e Aldo Maria Cursano (vedi servizio a parte) che hanno messo in rilievo gli interventi della Fipe a livello nazionale per trovare soluzioni rispettose della legge e degli interessi degli esercizi pubblici seri che, in ogni caso, devono fare la loro parte anche per distinguersi dai troppi improvvisati e a volte irregolari che, giustamente, dovrebbero essere maggiormente controllati dai Nas. Se poi si aggiunge che in una realtà come Milano il 30% della ristorazione fa capo a soggetti extracomunitari con abitudini alimentari e “produzioni” diverse dalla nostra, si può ben capire come l’attenzione debba essere alta.
Da parte sua il bergamasco Giovanni Cacciolo, titolare di Orobica Pesca, una delle più qualificate aziende di distribuzione di prodotti ittici in Italia, ha parlato di costi di gestione delle aziende costrette al rallentamento economico, dell’insufficienza dei controlli verso distributori improvvisati o con assenza di adeguate procedure di sicurezza igienico-alimentare, ed ha auspicato un prossimo incontro con il ministro delle Salute Fazio per chiarire alcuni punti rimasti oscuri.